LUCIANO FABRO
“Il frequentarsi presuppone ovviamente molte idee in comune ed anche l’osservazione non solo dei risultati ma anche del processo, con scambi vivaci sia sul pro che sul contro. Se a questo si aggiunge l’essere stati rispettivamente professore e allieva ogni giudizio dovrebbe prescindere dall’obiettività. Sennonchè, ciò che forse in genere dovrebbe valere in Arte non vale. Gli artisti sono sempre obiettivi sui vicini e solo occasionalmente sugli altri. C’è stato un momento in cui le amiche mi confidavano come fosse impossibile sfuggire alla tagliola costituita per un verso dal femminismo tuttora predicante della mia generazione e per l’altro verso dall’imperativo ginecologico, patologico e merceria al femminile delle generazioni più recenti. Tutto ciò ben condito da una situazione ambientale che vede Milano alla deriva e, tanti, intristiti da esperienze riduttive. Voglio dire che erano partiti molto speranzosi e con risultati assai promettenti ma che poi si sono lasciati tarpare dal bisogno di una conferma civile in una città ormai incivile. Per cambiare l’umore che circola vorrei dire alcune cose di Luisa Protti(…)
(…)Protti firma i primi lavori nel 1979(…)Mi viene meglio parlare di impronte di Luisa Protti piuttosto che di lavoro. Già i suoi autoritratti sembravano “Sindone” del suo viso e ora, su questo “greto di fiume” sento che lei è passata su. Tutte le sue opere non hanno mai il peso del lavoro ma è evidente la presenza del suo passaggio. Segna un posto alla maniera degli animali, convogliandovi tante cose e quel segno è anche un limite etico e di forma. In questi anni Luisa ha preso a parlare di metabolismo. Ne abbiamo spesso discusso, ma ora ricordo quando una ventina di anni fa disegnava il “/wp-content/uploads/2023/10/38coccio3.jpg” target=”_blank” rel=”noopener”>Coccio” (vedi Regole d’Arte) e lei fu la sola a farne un’immagine vaporosa e allusiva; ma sostanzialmente qualcosa che passava da un’identità all’altra. Luisa è sempre allusiva, anche se la sua immagine è sempre chiara come significato, il suo apparire è traslucido persino nei casi più gravi come gli –Imenei-o il-Sole di Venezia. Il bello dei suoi pani di creta (oltre al resto) è che sembrano gonfi più o meno come il materasso di – Per rivalutare la £ira 2 -. Tutto è leggero in lei, soffice, aereo; il tutto frutto di uno sforzo in senso opposto: rendere duro, pesante, plastico; così di fatto tutto questo sforzo non fa che alludere alla plasticità, al volume, al peso, alla rigidità. Io giustifico questo sforzo come cinismo nei confronti del reale e, questo risultato come scetticismo. Ma come si giustifica invece la sua forma di fideismo e moralismo nei confronti dell’arte se non come un asserire che solo l’arte è dimostrabile, obiettiva, reale, singolare? Tutto ciò potrebbe far sì che le immagini che traspaiono dai suoi materiali di oggi (Ready-made): il bicchiere con l’acqua e qualcosa dentro; un filo, un po’ di pongo ed un cucchiaio (un esempio) danno l’impressione del “non importa chi o che cosa” così come erano le macchie delle sue – Ghirlande – , o del disegno fatto a mano libera ma senza decisione nel polso, dei cubi delle – Odalische – , le sue Lamiere senza nerbo esposte da Ala a New York. Eppure tutto ciò ha un peso specifico costante ed una fisionomia costante. Diciamo che esprimono correttamente la differenza tra fatto ad arte (non è il suo caso) e l’arte (il suo caso). Là viene fuori il suo carattere che si esprime in bilico tra incertezza ed equilibrio precario e ciò diverte perché funziona come il funambolismo dei clown. Il fatto è che il lavoro di Luisa può finire in una capriola ma mai in una caduta.
(…)Da quanto ho detto mi sembra si ricominci a intravvedere un carattere generazionale finora oscurato da una certa qual attitudine burocratica che erroneamente passa sotto la voce di mass-media, mentre più semplicemente si tratta di mancanza di carattere personale, per cui la trafila burocratica di scuola-critico-galleria-museo può portare diritto alla pensione già a trent’anni nei paesi ben strutturati come Francia, Germania, Svizzera, Olanda e all’innocuo pettegolezzo da disoccupati in paesi come l’Italia.
La vita dei polli di batteria è breve.”
Luciano Fabro, “Formare. Chiunque sappia di scultura sa pure che per prima cosa si prende l’impronta in negativo, così si ha la forma femmina.”, estratto, in SACCO verde, nuova edizione giugno 1996, Casa degli Artisti Milano.