Quest’opera è esposta alla Biennale di Venezia del 1993, a cura di Achille Bonito Oliva, l’ultima Biennale dialettica. Se per lo più gli anni’90 sono gli anni della definitiva svolta mediatica e sociologica, per me si è trattato di accentuare il “fisico”, anche nella sua espressione di peso, seppur a volte leggero (vedi anche Imenei, 1992). A un momento in cui era già delineata una prospettiva culturale precisa, espressa dal reality più o meno spettacolare, con connotazioni sociali, antropologiche, eccetera, oppongo l’idea di un “sole fossile”, fatto di pani di argilla, elemento primario come il pane, pani messi in moto (non modellati), posizionati sopra strati di polistirolo e strisce di gomma nera, in modo da espandersi nell’ambiente, come colpi di luce e ombra fisici e materiali, accanto a “soli” cilindrici di gesso solcati da pieghe circolari, calchi del modello di argilla ruotata sul tornio.
In Sole la sensazione che deriva dai materiali usati, la terra, la gomma, il polistirolo, sta tra la consistenza e la fisicità del materiale stesso e la luce che assorbe, riflette, quasi che questo fosse come un momento di un processo metabolico.

A proposito scrivevo:
«(…) un sole è un capriccio nei confronti di ciò che viene fatto passare come reale ora. Mi riferisco all’immagine della realtà così come te la vogliono far vedere in questo momento, alle mostre, alla televisione, in generale. Tutta la natura è “fantasia” rispetto a questo “reale”. Io voglio preservare la mia libertà di vedere tutta la natura come reale.
Fare un sole, un riflesso della luna nell’acqua. Questo significa, oggi, natura: qualcosa che: “irrompe tra i significati e li sommerge” (Mandel’stam)»